Kevin Cattivelli | La “Comfort Zone” in Psicoterapia
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La “Comfort Zone” in Psicoterapia

Il concetto di zona di comfort risale ad un esperimento classico della psicologia condotto nel 1908 dagli psicologi Robert M. Yerkes e John D. Dodson, i quali dimostrarono che uno stato di relativo benessere genera un livello costante di rendimento.

Un livello “costante” di rendimento può essere però, sempre secondo questa legge, migliorato turbando lo stato di relativo benessere, ovverosia quando si è sollecitati da un’“ansia ottimale”, una condizione d’attivazione adeguata, né eccessiva né insufficiente. È chiaro che non è possibile stabilire una condizione di stress ideale universale poiché ognuno di noi, con le sue peculiarità, risponde in modo diverso a situazioni e stimoli differenti.
Più in generale, immaginando la zona ci comfort come l’area di un cerchio, le condizioni di stress ottimali si verificano in quelle zone esterne in prossimità della circonferenza; solamente attraversando gradualmente il perimetro del nostro cerchio possiamo affrontare quelle “sfide” che ci permettono di crescere e, conseguentemente, di spingere un po’ più in là il confine della nostra zona di comfort.
La Comfort Zone è dunque uno spazio sicuro, protetto, “familiare”, in cui è possibile controllare quasi tutto senza correre rischi, ma senza nemmeno crescere; non è semplicemente uno spazio fisico ma una disposizione mentale, non si limita ad un’area di sicurezza che abbiamo costruito intorno a noi, ma include sia le nostre abitudini quotidiane che il nostro modo di pensare.
Le abitudini che seguiamo e replichiamo con assiduità sono quelle che ci permettono di costruire la nostra zona di comfort perché sappiamo esattamente cosa poterci aspettare da ogni situazione, riducendo al minimo l’incertezza avvertiamo di avere tutto più o meno sotto controllo.

Rispetto al linguaggio comune, dove per “zona di comfort” ci si riferisce ad una condizione comoda, “confortevole” e favorevole in cui si sperimenta il maggior grado di sicurezza e tranquillità, in Psicoterapia la Comfort Zone rappresenta qualcosa di più complesso proprio perché coinvolge l’identità della persona, le sue relazioni, la sua coerenza storica e il modo di costruire l’esperienza personale; potremmo infatti dire che la Comfort Zone è la condizione più “familiare”, meglio nota, un modo di vedere e di “vedersi” che tende a riproporsi nel tempo, garantendo continue conferme rispetto a chi siamo.
Sebbene nella nostra Comfort Zone riproponiamo continuamente la nostra personale visione del mondo, e il ruolo che noi stessi agiamo, questo non significa necessariamente che risulti essere una condizione ideale, né tantomeno che sia soddisfacente, piacevole e appagante.
Tutt’altro. Le persone che si rivolgono ad uno psicologo sembrano avvertire un forte disagio un blocco in relazione dalla propria zona di comfort, dalla quale non riescono / non vogliono evadere; per quanto fastidiose e dolorose le esperienze che la caratterizzano, la Comfort Zone rappresenta il riferimento, la certezza, l’unica dimensione conosciuta nella quale ri-conoscersi.
La familiarità che contraddistingue le esperienze ripetute nel tempo, attraverso le quali la persona ha costruito la propria identità, risulta un elemento fondamentale nel mantenimento strutturale della zona di comfort.

Per fare un esempio, immaginiamo di rivolgerci ad una psicologa perché fino ad oggi, nella nostra vita, abbiamo avvertito grosse difficoltà nel prendere delle decisioni, esitando e sentendo sempre il bisogno di affidarci e dipendere dalle opinioni e dai suggerimenti di qualcun altro; in buona sostanza, sentiamo di non essere in grado di scegliere autonomamente per noi stessi.
Questo tipo di vissuto ha comprensibilmente radici profonde; è possibile, per esempio, che durante la nostra infanzia le persone a noi più vicine non siano riuscite a favorire un processo di indipendenza, abbiano trascurato i nostri bisogni a favore delle loro esigenze, abbiano svalutato il nostro contributo mettendo in discussione il nostro valore.
In questo caso (certamente semplificato) la nostra zona di comfort è rappresentata dall’“affidarsi all’altro per scegliere e definirsi”. Una condizione che, per quanto invalidante nel presente in relazione ai nostri bisogni, si mantiene e si ripropone continuamente; per esempio potremmo instaurare relazioni affettive con persone che tendono ad anticipare le nostre scelte, a prevaricare la nostra autonomia, e ancora potremmo inconsciamente “autosabotarci”, svalutando continuamente i nostri bisogni con l’obiettivo di mantenere un legame di dipendenza.

Per mantenerci all’interno della zona di comfort tendiamo quindi a evitare i rischi e l’incertezza, adottando un atteggiamento passivo e conservativo nei confronti delle esperienze.
In psicoterapia la Comfort Zone è il riferimento da cui bisogna iniziare ad evadere, è la condizione tanto rassicurante quanto paralizzante da cui emanciparsi per dare vita a un percorso di rinnovamento.