28 Mar Il Cielo nella diStanza: la separazione ai tempi del Coronavirus.
Gino Paoli raccontava della possibilità di viaggiare, di immaginare e di fuggire il mondo rimanendo semplicemente in una stanza in compagnia della persona amata. Evadere le pareti, il soffitto e gli ostacoli attraverso l’amore e il calore, chiudendo gli occhi insieme per riaprirli su di uno spazio immenso e infinito dove bastare a sé stessi. Abbandonarsi a sé stessi.
Si dice che sia più facile sentire la distanza rispetto alla vicinanza proprio perché quando la persona amata è lontana ci accorgiamo di come la sua presenza, a cui ci abituiamo col passare del tempo, sia vitale per noi. Un elastico, tra la vicinanza e la distanza, che caratterizza le relazioni umane e non solo; due polarità che non possono esistere senza il loro opposto e che, proprio attraverso l’opposto, rinvigoriscono in modo perpetuo.
In questo drammatico periodo che stiamo vivendo, sono molte le persone che si ritrovano a casa con i propri cari, costretti ad una convivenza forzatamente prolungata senza precedenti.
Molte altre sono invece le persone che per varie ragioni sono sole a casa o che, pur avendo compagnia, non possono raggiungere i propri affetti o il proprio amore. Persone che hanno probabilmente dovuto scegliere dove stare, riunendosi a qualcuno ed inevitabilmente separandosi da qualcun altro. Per altri, questa scelta, non è nemmeno stata possibile.
La tecnologia, che per molti versi è stata criticata proprio a causa della sua natura “fredda” e inadeguata a sostenere e promuovere la costruzione di legami interpersonali autentici (o almeno come li abbiamo conosciuti sino ad oggi), sta in questi giorni rivendicando con prepotenza la sua utilità ed i suoi vantaggi. Non solo per quanto riguarda l’ormai diffuso smartworking, ma anche e soprattutto, in queste settimane, sta rivelando i suoi vantaggi ai più scettici ed alle persone più anziane e meno “tecnologiche”, dimostrando la possibilità di essere costantemente in contatto con i propri cari che vivono o si trovano a distanza.
Strumenti come Skype, Whatsapp ed i vari profili Social sono frequentemente sfruttati da chiunque, dai bambini ai nonni, per accorciare la distanza ed essere informati su ciò che accade quasi a chiunque.
Eppure questi benefici tecnologici non sembrano poter soddisfare e rispondere in modo esaustivo ai nostri bisogni. Una volta terminata la chiamata, cliccato il pulsante rosso, molti di noi si ritrovano soli e lontani, sotto lo stesso cielo ma a chilometri e chilometri di distanza.
L’incontro (quello fisico), il famigerato assembramento e molte altre situazioni sociali a cui ci siamo abituati sin dalla nascita sembrano appartenere ad un passato di cui ci scopriamo, giorno dopo giorno, nostalgici.
Il sentimento di separazione presuppone l’aver fatto esperienza di unione, di legame; sentirsi separati da qualcuno o da qualcosa significa implicitamente confrontare la propria condizione attuale con una precedente.
Le persone che a causa del coronavirus sono distanti dai propri genitori, dai propri figli o dalla persona amata stanno probabilmente vivendo un sentimento simile; se i supporti tecnologici ci forniscono informazioni, parole ed immagini, ciò che invece non possono sostituire è un abbraccio, un profumo. I vari strumenti tecnologici ci permettono di parlare e vederci “come se” fossimo lì, insieme, ma questo non potrà mai incontrare completamente i nostri bisogni. Il “come se” sarà sempre meno sufficiente.
Quello che dobbiamo riuscire a riscoprire, in questo tempo di solitudine, è proprio questo. Il nostro bisogno di stare con l’altro, di sentire il calore dell’altro. Dobbiamo magari ripensare a quelle cene con i nostri parenti che spesso, negli anni precedenti, abbiamo sofferto e mal sopportato; dobbiamo ricordare di quei momenti sul divano in cui le mani fredde della nostra compagna hanno fastidiosamente cercato il calore della nostra pancia; dobbiamo riassaporare nel ricordo i chiassosi e insipidi pasti consumati scomodamente nelle mense; dobbiamo ricordarci di tutte quelle volte che non ci siamo abbracciati per superficialità, per fretta o per distrazione.
Lo dobbiamo a noi stessi. E lo dobbiamo fare per ritrovare il senso più profondo che scorre invisibile nelle nostre relazioni, un senso che solo adesso scopriamo di aver trascurato e di aver dato per scontato.
Ora che stiamo forzatamente vivendo la distanza, potremo finalmente restituire valore alla vicinanza.
(L’immagine raffigura il famoso quadro di Edward Hopper “Morning Sun” del 1952)