20 Feb L’identità dell’adolescente: se l’intimo diventa pubblico.
Il periodo che chiamiamo “adolescenza” rappresenta un passaggio fondamentale nella crescita di ogni individuo.
Oltre a quei cambiamenti, prettamente fisici, che caratterizzano i giovani e che segnalano l’inizio dell’età sessuale, l’adolescente inizia a chiedersi “chi sono?”, cercando di definire il suo personale posto nel mondo, costruendo la propria identità che, nel giro di qualche anno, sarà la bussola interna attraverso cui si orienterà nella vita adulta.
Chi lavora con i giovani dovrebbe sempre tenere presente che, durante l’adolescenza, ci si gioca molto; è grande la responsabilità di chi, in questa fase, accompagna i giovani verso il loro futuro, il quale avrà un diverso sapore proprio a seconda di ciò che si riesce a costruire nel presente. Ad esempio, un giovane che percepisce di essere trascurato dai genitori e che si sente incompreso dai professori, è più probabile che sviluppi, in età adulta, un sentimento di sfiducia nei confronti dell’Altro e di bassa autostima (in parole, “Se quello che sento non è mai importato a nessuno, allora non ha valore; Io non ho valore”).
L’adolescente, alla ricerca della propria identità, è primariamente impegnato in una “rottura”; individuare e costruire la propria strada significa inevitabilmente rompere con la tradizione, contrastare ciò che fino a qualche mese prima era l’unico modello (rassicurante per molti versi) conosciuto. Mi riferisco ai numerosi e fisiologici scontri che coinvolgono i genitori ed i loro figli, sempre più imbronciati e misteriosi, che spesso raccontano di una distanza incolmabile, almeno nel presente, di un distacco spaventoso (per entrambe le parti) ma necessario all’evoluzione della nostra identità.
In questo senso l’Identità, in continua evoluzione, rappresenta la ricerca di sé stessi; una sollecitazione perpetua, volta a definire i nostri bisogni, che esige ascolto e attenzione affinchè possa emergere in tutta la sua singolarità.
Eppure, questa spinta evolutiva, viene costantemente imbrigliata, soprattutto durante l’incertezza adolescenziale, da un’altra necessità vitale, quella cioè dell’accettazione da parte degli altri, della loro approvazione; l’isolamento sociale è una prospettiva inquietante e non di rado i nostri bisogni finiscono col corrispondere a ciò che immaginiamo che l’altro voglia da noi (un mio giovane paziente mi ha detto: “Io voglio sempre… quello che mi aspetto che l’altro voglia da me”).
Galimberti (U. Galimberti, 2007) ha messo in evidenza come la nostra epoca stia decisamente alimentando la sensazione che la nostra dimensione “intima”, privata, debba essere esposta e pubblicizzata per esistere. In particolare Galimberti coglie la similitudine tra la nostra società consumistica, dove le merci, per essere prese in considerazione, debbono essere pubblicizzate, e il comportamento dei giovani “i quali hanno la sensazione di esistere solo se si mettono in mostra”. Il risultato sembra andare nella direzione della scomparsa della nostra intimità, destinata a perdere la sua dimensione privata e, così facendo, a tendere all’omologazione diventando proprietà comune.
La vergogna, intesa come timore per la propria esposizione pubblica, risulta secondo quest’ottica ingiustificata; al motto “non c’è nulla di cui tu debba vergognarti”, i giovani sembrano rivendicare la legittimità a mettere tutto su piazza, così come fan tutti, ma dimenticando che il vergognar-si è un verbo riflessivo che “riguarda la relazione con sé stessi” e dunque, bypassando questa riflessione, viene a mancare la costruzione e la difesa della propria identità, in favore di ciò che l’altro si aspetta che io sia.
La dinamica della “piazza” è però piuttosto crudele e chi frequenta quotidianamente le chat e i social sa bene quanta cieca ferocia si riversi in questi luoghi; al di là dell’attenzione che giustamente viene rivolta al fenomeno del “cyber-bullismo”, chiunque riceve giudizi e offese dopo aver mostrato la propria intimità non può che sentirsi “sbagliato” e inadeguato, soprattutto dopo aver sacrificato la propria dimensione privata per soddisfare l’aspettativa altrui.
Accade quindi, come sottolinea Galimberti, che molti giovani fraintendano la loro identità con “la pubblicità dell’immagine” e, così facendo, non cercano più sé stessi ma “la pubblicità che li costruisce”.
Il luogo dell’intimo, l’interiorità, si sbriciola per rivolgersi verso l’esterno; in questo modo la dimensione privata svanisce e, con essa, la libertà di decidere “che tipo di relazione instaurare con l’altro”.
Volersi bene significa anche scegliere a chi concedersi, selezionare da chi vogliamo essere conosciuti e scoperti. Familiarizzare con il nostro tempo. Questo aspetto è particolarmente rilevante perché ogni individuo, soprattutto durante l’adolescenza, cresce e si costruisce proprio attraverso l’incontro con l’altro, negoziando la distanza e l’attesa del mostrarsi.
Galimberti, U. (2007). L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani. Feltrinelli (Milano)